Satira è semplicemente l’anagramma di risata. E la conferma arriva dalla ridicola recente levata di scudi in difesa della satira, il grido disperato: “Je Suis Charlie” condito dalle più improbabili italiche pronunce, che fa i conti con la brutale regressione della libertà di stampa nel nostro paese. Nella speciale classifica redatta da Reporter Senza Frontiere l’Italia precipita di 24 posizioni, dal 49esimo posto al 73esimo.
Insomma, l’Italia è alle spalle di Paesi come l’Ungheria del discusso premier Orban (65esimo posto) o come Burkina Faso e Niger (46esimo e 47esimo posto). Peggio dell’Italia in Europa è riuscita a fare solo Andorra, caduta in un anno di 27 posizioni a causa delle difficoltà incontrate dai giornalisti nel raccontare le attività delle banche del piccolo Paese tra Francia e Spagna.
Il paese degli editti bulgari, il paese che ha praticamente esiliato un genio della satira come Corrado Guzzanti, si schiera in favore della satira e della libertà di stampa?
Certo, la colpa viene artificiosamente ben distribuita e messa strumentalmente in risalto dai colpevoli media: “pesano in questi ultimi 12 mesi l’esplosione di minacce, in particolare della mafia, e procedimenti per diffamazione ingiustificati”.
Ma la realtà è un’altra: la realtà è precaria. E i giornalisti, anch’essi precari, che si guadagnano da vivere alla modica somma di 5 euro ad articolo (se pubblicato), di certo non possono essere liberi. Perché la precarietà è una schiavitù. Di certo devono rispondere signorsì al loro editore per poter mangiare. E tutto questo non è un caso.
Sempre più spesso, mentre protesto in mezzo alla strada, insieme ai lavoratori, il giornalista mi dice che è precario, come i lavoratori che rappresento; mi dice che fa il servizio e che spera gli venga pubblicato. Solo così sarà pagato. E aggiunge, quasi mortificato: “quelli pubblicano solo se ci sono le botte, il sangue, i tafferugli…”
Insomma, visto che va di moda: je suis Corrado Guzzanti; je suis il giornalista precario. Perché la satira e la libertà di stampa sono tra i cardini della libertà di tutti noi e la precarietà ne è l’antidoto più subdolo e feroce.