Caro Babbo Natale, è già irritante di per se pensare che hai permesso di farti cambiarti il vestito da verde in rosso, con l’aggiunta degli inserti del cappuccio in pelliccia bianca, solo perché la Coca-Cola ha iniziato a utilizzarti nei suoi spot pubblicitari.
Ma quest’anno non sono riuscito a trattenermi e d’istinto mi è uscito un “che palle! Ancora Babbo Natale”. Siamo ancora alla fine di ottobre e già non ce la faccio davvero più, la nausea ha preso il posto della trepidante attesa di quando ero bambino, un’attesa che era lunga al massimo un paio di settimane.
E che… beh! … si… ecco… Io sono letteralmente nauseato dalla presenza ossessionante della tua figura negli ultimi due mesi dell’anno. Due mesi. Si, si, hai letto bene. Pandori e decorazioni natalizie iniziano a riempire gli scaffali dei supermercati mentre quei poveretti dei commessi sono ancora indaffarati a tirar via i lumini dei morti.
Comunque la mia frase non ha nulla a che vedere con la perdita di religiosità di questa festa. Qui il discorso sarebbe troppo lungo e io non mi reputo la persona più adatta per affrontare l’argomento. Quella frase ha a che fare con le condizioni che vivono milioni di lavoratori che, per “consegnare” i tuoi tanto attesi balocchi, vengono sfruttati, umiliati, sottopagati e gettati in strada in attesa del natale successivo.
Vedi Babbo Natale, ho provato a digitare su Google “commessa natale” ed ho trovato “Circa 491.000 risultati (0,42 secondi) “. Ho poi provato a digitare su Google “commesso natale” ed ho trovato Circa 519.000 risultati (0,55 secondi). Tu penserai che, oltre ai tuoi doni sulla slitta, porti anche il lavoro; ma in realtà non è proprio così. Tra i tuoi doni non c’è lavoro stabile, un contratto a tempo indeterminato, la possibilità di costruirsi un futuro. Tra i tuoi doni c’è tanta precarietà a poco prezzo.
Mentre tutti siamo distratti, di corsa, a testa bassa tra negozi e centri commerciali non ci curiamo della barista stagista, della lavoratrice a chiamata, del part-time verticale del tempo determinato parziale. Non ci importa che quei lavori precari vengono retribuiti da 2,5 a 5 euro l’ora e chi indossa il tuo vestito rosso stile Coca-Cola e gira per un centro commerciale è anch’esso precario e a volte senza contratto. Insomma, un vestito rosso per lavorare in nero.
Vedi, caro Babbo Natale, i prossimi due mesi per questi lavoratori e per le loro famiglie saranno un vero e proprio inferno. Nessun riposo domenicale e festivo, tanto stress e pochi soldi. Tanti bambini che ti scriveranno una letterina mentre i genitori sono dietro una cassa, a impacchettare regali o a disossare agnelli.
Questi due mesi per tanti lavoratori del commercio rappresenteranno un lungo conto alla rovescia che li condurrà all’agognato 24 dicembre stremati, all’annuncio di chiusura della vigilia che porrà fine ai loro tormenti e accompagnerà gli ultimi clienti fuori dal negozio. Un urlo di gioia che rimbomberà nel loro luogo di lavoro ormai vuoto, un veloce scambio di auguri e tutti di corsa a timbrare rapidamente l’uscita per arrivare puntuali al cenone.
Caro Babbo Natale ascolta, io non voglio un regalo da te per Natale. Io vorrei che ti togliessi quegli abiti rossi color Coca-Cola e tornassi ad essere l’eroe dei bambini, rendendo possibile la vita dei grandi… Davvero lo vorrei!