Eh già, se ti stai domandando se è una provocazione la domanda è sbagliata: la colpa del bullismo nei centri commerciali, e più in generale nella società contemporanea, è solo dei genitori. E il centro commerciale ne è la dimostrazione perfetta, la più rappresentativa.
Perché il bullismo è figlio della mancanza di educazione, è il sintomo evidente che non si è “costruito” un adolescente libero, responsabile e autonomo. Perché il bullismo è figlio della nostra adolescenza prolungata, dove le madri si atteggiano maldestramente a sorelle delle figlie e i padri pappagalleggiano la virilità giovanile dei figli. E tutti fanno fatica a fare i conti con il tempo che passa, le rughe che segnano il viso e gli addominali che si afflosciano.
Ma proviamo ad analizzare il perché partendo da due istanze pedagogiche irrinunciabili: il riposo e la convivialità. I tempi del riposo e gli spazi della convivialità sono direttamente proporzionali alla stabilità della persona. La nostra incapacità di fermarci – e quindi di “guardarci” – del “fare per il fare” senza legarci alcun pensare, la concitazione come stile di vita, denotano sempre delle problematiche irrisolte. Insomma, il tempo del riposo all’interno della famiglia è fondamentale per stare insieme e ritrovarsi in spazi non invasi da routine quotidiane.
Il tempo della festa è temporalità differente dal tempo quotidiano e routinario. E l’importanza della festa va riscoperto nella sua ritualità del fermarsi e riconoscere un tempo e uno spazio in cui si scopre la novità di cui ognuno è portatore.
Come va riscoperto il tempo della convivialità: il sedersi tutti intorno ad una tavola almeno il giorno di festa o alla domenica per “ritrovarsi in un tempo di unitarietà familiare.
E invece no, la domenica e le feste le famiglie le buttano dentro i centri commerciali e l’esempio che i figli assorbono è quello di una rissosità diffusa: per un parcheggio conteso, per la fila alla cassa o per il commesso percepito come antipatico. Ed è proprio quel modello che i bulli assorbono e poi ripropongono con dinamiche identiche all’interno di quei non luoghi.
E i figli delle commesse e dei commessi? Anch’essi devono rinunciare a forza ai tempi del riposo e della convivialità e anch’essi sono costretti ad assorbire il peggio della società consumistica. Spesso la mamma esce prima ancora che il figlio si svegli e rincasa dal lavoro per la cena. Se va bene.
Mi viene da pensare che eravamo felici e non lo sapevamo… quando la domenica era scandita dalle pastarelle e dalla visita ai nonni. Quando le relazioni educative e familiari avevano la meglio sul consumismo ed i suoi templi moderni. Quando il tempo disteso della domenica era portatore finanche di un po’ di noia, altro elemento educativo fondamentale per una crescita sana!