Caro precario, ti diranno che è colpa mia, che è colpa di quelli quelli della mia generazione. Ti diranno che siamo noi a rubarti il futuro, a rubarlo a quelli della tua generazione. Che per te non c’è lavoro e la colpa è la mia. Ti diranno che i miei privilegi, le mie garanzie si pagano al costo della tua precarietà perenne.
Caro precario, ti diranno ancora che è colpa mia e te lo stanno raccontando già da un po’. Per questo ce l’hai con me e mi guardi in cagnesco. Vedi, ci hanno fatto il lavaggio del cervello, usando parole appiccicate sui significati sbagliati. Io non sono più garantito di te e l’articolo 18 che mi porto appresso è una povera foglia di fico.
Caro precario, sono un lavoratore che, per il momento, viene trattato con la giusta dignità: che ha potuto progettare la propria vita. Che ha vissuto il lavoro come un diritto, non come un privilegio; mi sono potuto permettere di restare a casa quando ero ammalato, potevo difendermi quando ingiustamente accusato e, se sul lavoro non mi comportavo seriamente, se venivo sorpreso a rubare ad esempio, potevo essere licenziato anche io.
Nessuno, però, poteva licenziarmi “senza giusta causa o giustificato motivo”, diceva la legge, e non mi sembra un privilegio, ma un diritto.
Ma parliamo di te, della tua condizione precaria che al solo pensiero non riesco a dormirci la notte, molto spesso. A me fa male sapere che non godiamo degli stessi diritti. Non privilegi, ricordalo sempre. La mia “pacchia” sta per finire però. Legge dopo legge la mia condizione è sempre meno stabile e si avvicina velocemente alla tua. I miei diritti si assottigliano e la mia precarietà, se non è lavorativa, è esistenziale.
Ma tu sbagli bersaglio se fai la guerra alla mia generazione. Vogliono farti credere che il problema siamo noi e i nostri “privilegi”, che in realtà sono diritti. Diritti sanciti dalla nostra Costituzione. In realtà i cattivi sono loro. Hanno solo cambiato mestiere: una volta mettevano contro gli operai e gli impiegati, ora fanno lo stesso con i giovani e i meno giovani, con i padri e i figli.
Caro precario, ti hanno raccontato che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” per molti, troppi anni. Ma tu lo sai bene che non è vero, che tutto quello che abbiamo è costato sacrifici, risparmi, vacanze brevi, pizzerie economiche, week end al lavoro, ore e ore di straordinario. Insomma, nessuno ci ha regalato nulla. Nessuno. Tutto ci è costato qualcosa.
E tu, non sei precario a caso. Lo sei perché i governi di ogni colore hanno “riformato” il mercato del lavoro dando la possibilità alle aziende di fare di voi giovani ciò che vogliono. E ora ti raccontano che il problema sarei io, sarebbe la mia generazione.
Caro precario, ti diranno che è colpa mia. E allora lasciati dire che io una colpa me la sono data davvero. Ed è un’altra. E’ quella di non essere stato abbastanza bravo nel trasmetterti la capacità di lottare, la voglia di non arrenderti, il coraggio di difendere diritti conquistati con il sacrificio personale dei nostri padri, dei tuoi nonni.
Caro precario, io sto dalla tua parte, nonostante quello che qualcuno vuol farti credere. Trova, insieme ai tuoi amici, la forza per ribellarti e riconquistarti ciò che vi è stato tolto. Un futuro dignitoso. Io starò dalla tua parte perché la tua lotta è la mia lotta.