Siamo ad Arese, dove una volta c’era l’ex Alfa Romeo, all’interno di un’area che ha vissuto pagine leggendarie della nostra storia industriale e del movimento operaio. Nell’era del consumo, l’ex Alfa Romeo è stata soppiantata dal più grande centro commerciale del nord Italia, una fabbrica della precarietà.
Un non luogo nel quale il posto fisso è un miraggio e i lavoratori vengono sistematicamente sfruttati e traditi. La storia di Giacomo, che ho letto ieri sera su Il giorno.it, è emblematica, tanto quanto la sua battaglia vissuta in solitudine.
Giacomo ha deciso di raccontarsi a Il giorno.it dopo essere stato da un legale che non gli ha dato speranze. Già, perché la precarietà ormai è una malattia senza cura, un’agonia senza fine.
Giacomo indossa una maglietta con su scritto «Disoccupato. #Shoppingacheprezzo». Alla fine di un periodo di prova “andato benissimo”, Giacomo Marini, 26enne di Paderno Dugnano è stato lasciato a casa. Quello che più mi colpisce è la solitudine nella quale Giacomo vive la protesta, nel luogo in cui le battaglie operaie erano fatte di condivisione e di organizzazione.
Sempre da Il Giorno.it, apprendo che Giacomo, nel febbraio scorso, è stato assunto da H&M con un contratto a termine della durata di 6 mesi, proprio in vista dell’apertura del centro commerciale di Arese, il più grande d’Europa. Ma il sogno di un lavoro stabile finisce a maggio, Giacomo viene licenziato.
«Ti chiedevano di dare il massimo, io ci ho messo l’anima, ma dopo pochi giorni era chiaro che solo alcuni avrebbero superato i 60 giorni di effettivo lavoro e ottenuto un contratto. Si viveva con il terrore: prima o poi sarebbe toccato anche a te sentire il tuo nome agli altoparlanti», racconta Giacomo al sito on line”, «Suona il ‘gong’ e cadono teste, una via l’altra. Finché è toccato anche alla mia». E infatti il 26 maggio, il suo 53esimo giorno ad Arese, la lettera di licenziamento lo attende a fine turno e la motivazione è la stessa di altri che hanno subito l stessa sorte: «Mancato superamento del periodo di prova».
Giacomo, come ogni precario, è ricattabile, non ha diritti, non ha ferie nei periodi di vacanza; non può aspirare al naturale desiderio di avere una famiglia tutta sua, una casa tutta sua, finanche un motorino tutto suo. Il precario, diciamocela tutta senza giri di parole, si chiama precario per pudore, per decoro. Perché lo sappiamo tutti che nella realtà si “scrive” precario ma si “legge” povero, povero in canna. Forse per quello stesso pudore o forse per nascondere la polvere di quel poco che resta delle coscienze dei ricchi sotto il tappeto, il precario non lo racconta mai nessuno: resta invisibile come il suo stesso futuro.
Ma Giacomo ha deciso di raccontarsi da solo, sta lavorando a una pagina Facebook che si chiamerà #shoppingacheprezzo: «Voglio raccogliere le testimonianze, i racconti di chi come me ha vissuto o vive ingiustizie lavorative simili e magari creare una rete di ascolto e aiuto». Beh, caro Giacomo, mi sento di darti un consiglio: rispolvera la storia di quel luogo glorioso per il movimento operaio e combatti la tua battaglia al fianco di altri precari, altri lavoratori che, come gli operai di allora, soltanto assieme possono sperare di vincerla.