Eurofond (l’agenzia Ue per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), ha rilevato la regolamentazione sugli orari di apertura nella giornata festiva in Europa . Ed ecco il risultato che ci rappresenta quante bugie ci hanno raccontato per arricchire le multinazionali a scapito dei lavoratori del settore e dei piccoli esercenti. Negli ultimi giorni, è tornato di attualità il tema delle chiusure domenicali degli esercizi commerciali e la necessità, o meno, di regolamentarle. Prima Luigi Di Maio qualche settimana fa, e oggi E la nuova relatrice del Ddl all’esame della Commissione, Rachele Silvestri, appena nominata.
Enrico Postacchini, membro della giunta di Confcommercio con delega alle politiche commerciali, ha invece replicato che il tema delle aperture domenicali degli esercizi commerciali «non è un vero problema». Certo che per lui non lo è, probabilmente la domenica sta in famiglia o comunque non è uno degli oltre tre milioni di commessi.
Ma come funziona in Italia e in Europa la regolamentazione in materia?
La situazione in Italia purtroppo la conosciamo
L’articolo 31 del cosiddetto “decreto Salva Italia”, approvato a dicembre 2011 dal governo Monti, ha di fatto liberalizzato gli orari degli esercizi commerciali nel nostro Paese. In sostanza c’è piena libertà per i titolari degli esercizi commerciali di decidere in quali giorni tenere aperto, eliminando tutti i vincoli preesistenti.
Il decreto del 2011 ha reso permanente ed esteso a tutto il territorio nazionale la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali già prevista, in via sperimentale e per i comuni a vocazione turistica, da una norma del 2006.
Il “Salva Italia” (art. 31, co. 2) ha inoltre sancito «come principio generale dell’ordinamento la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali».
Ma analizziamo il quadro europeo
La regolamentazione europea sugli orari di apertura domenicali è molto eterogenea,in quanto non esistono regolamentazioni comunitarie sulle aperture nei weekend.
La Working Time Directive del 1993 – che adottava «prescrizioni minime relative a taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro legati alla salute e alla sicurezza dei lavoratori» – aveva stabilito che in linea di principio il riposo minimo settimanale per un lavoratore dovesse comprendere la domenica.
Ma nel 1996 questo aspetto era stato contestato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, in quanto il legislatore europeo non aveva spiegato perché proprio la domenica fosse maggiormente collegata con la salute e la sicurezza del lavoratore. Così, nella Working Time Directive del 2003 non era più presente alcun riferimento alla domenica. Nonostante l’eterogeneità normativa in materia, sulla base delle elaborazioni aggiornate al 2018 della Commissione Ue è possibile raggruppare gli Stati membri in quattro categorie, a seconda delle loro leggi sui vincoli per gli orari di apertura.
La situazione nei 28 Stati Ue
Totale libertà
Nell’Ue, sono 12 i Paesi che non hanno restrizioni sugli orari di apertura dei negozi (settimanali e domenicali).
Oltre all’Italia, in questo gruppo troviamo Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia (completa liberalizzazione nel 2016), Ungheria (che nel 2016 ha cambiato idea su una legge del 2015, che proibiva le aperture domenicali), Irlanda, Lettonia, Lituania, Portogallo (completa liberalizzazione nel 2015), Slovenia e Svezia.
Libertà con poche e limitate eccezioni
In quattro Stati membri – Repubblica Ceca, Danimarca, Romania e Slovacchia – i negozianti possono scegliere liberamente gli orari di apertura, fatta eccezione per alcuni giorni di festività pubbliche.
Aperture domenicali regolamentate
Francia, Germania, Regno Unito e Polonia hanno invece una specifica regolamentazione solo sugli orari di apertura domenicali.
Per esempio, in Francia i negozi di alimentari possono rimanere operativi di domenica, ma non oltre l’una del pomeriggio. In più, le aperture sono limitate a 12 domeniche l’anno.
Nel Regno Unito, invece, non ci sono limitazioni di apertura per i piccoli negozi (fino a 280 metri quadri), mentre i negozi più grandi possono commerciare di domenica tra le cinque e le sei ore (in Scozia non ci sono restrizioni).
La Germania ha una delle leggi più restrittive in materia che, salvo poche eccezioni, non consente le aperture domenicali.
La Polonia ha introdotto una legge per regolamentare gradualmente gli orari di apertura domenicali, consentendo ai commercianti di restare aperti una domenica al mese nel 2019, fino ad arrivare a una completa restrizione nel 2020.
Aperture, domenicali e non, regolamentate
Infine, sono otto gli Stati membri – Austria, Belgio, Cipro, Grecia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Spagna – che hanno norme per regolare in maniera dettagliata gli orari di apertura sia durante la settimana sia durante il weekend.
Ricapitolando
Secondo i dati della Commissione Ue aggiornati al 2018, 12 Stati membri su 28 non hanno alcuna restrizione sugli orari di apertura settimanali – e di conseguenza domenicali – per gli esercizi commerciali e altri quattro Stati hanno poche e limitate eccezioni. L’Italia è l’unico grande Paese che rientra in questo gruppo.
I restanti 12 Stati membri (tra cui Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) hanno regolamentazioni sugli orari di apertura domenicali, ognuno con le proprie specificità.
In conclusione
Il cosiddetto “decreto Salva Italia” del 2011 ha di fatto liberalizzato gli orari di apertura degli esercizi commerciali in Italia, generando negli anni successivi un dibattito sulla necessità o meno di introdurre specifici limiti sulle aperture domenicali.
In sostanza non ce lo chiedeva l’Europa allora, come non ce lo chiede ora. Possiamo osservare che le complete liberalizzazioni le applicano i Paesi al palo dal punto di vista economico, mentre i Paesi avanzati mettono vincoli stringenti. Perché gli acquisti sono spinti solo e soltanto dai redditi, e non dal tempo di apertura delle attività commerciali.
E allora… alzate questi cazzo di stipendi!