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Dal produttore al consumatore: l’infame filiera

Dal produttore al consumatore, quante volte abbiamo sentito questa frase… Ma ci siamo mai domandati a quale prezzo?

Vediamo quale filiera assassina riempie quotidianamente le nostre tavole, i nostri armadi, ci accompagna nello sport, ci permette di telefonare, di navigare in rete o si fa giocattolo per i nostri figli.

Partiamo dalla strage di Prato, dall’incendio avvenuto in una fabbrica tessile nell’area del Macrolotto. Il bilancio fu tragico: sette morti, tre operai ustionati, in condizioni gravissime, e un bambino scampato alla tragedia per un soffio. Tutti di nazionalità cinese. Fu la cronaca di una strage annunciata, ennesima storia di schiavitù, di lavoratori a basso costo, costretti a dormire in una fabbrica all’interno di veri e propri loculi dove trovarono la morte. Operai che lavoravano anche quindici ora al giorno in assenza di qualsiasi tutela della salute e della sicurezza per un salario da fame.

Molti degli immigrati cinesi giungono in Italia affidandosi a trafficanti di esseri umani, i quali si dice abbiano costruito un mercato di operai specializzati nel settore tessile da inserire nelle fabbriche italiane che producono capi d’abbigliamento a Milano, Napoli e Prato. Chi trova lavoro nelle industrie è spesso trattato come uno schiavo e costretto a lavorare in condizioni disumane. Alcuni edifici fatiscenti di Prato nascondono fabbriche illegali in cui gli operai cinesi sono costretti a orari di lavoro insostenibili. In caso di controllo della polizia, una guardia avvisa chi sta dentro e gli immigrati vengono nascosti in seminterrati che sembrano celle. Sfruttamento al servizio dei pronto moda, merci piazzate agli ambulanti, alle catene distributive e ai grossisti.

Ma la crisi è globale, come lo sono gli omicidi sul lavoro. La mela di Apple, frutto avvelenato per i lavoratori che producono gli smartphone, dal quale probabilmente leggerete queste mie amare considerazioni, miete vittime nei paesi che producono a basso costo sulla pelle dei nuovi schiavi. Esempio noto alle cronache è quello di Shi Zaokun, un giovane operaio quindicenne della Pegatron, azienda con sede a Shanghai che produce iPhone5. Shi Zaokun lavorava fino a 80 ore a settimana, con documenti falsi che la Pegatron gli aveva procurato per aggirare la legge che proibisce il lavoro minorile. Ma potremmo parlare dei bambini che producono scarpe, palloni, giocattoli, etc.

Non da meno è la distorsione all’interno della filiera agro alimentare che crea sperequazione e aberrazioni tangibili con un sicuro beneficio economico solo per le multinazionali, mentre gli agricoltori hanno visto diminuire i loro margini al punto tale che, sempre più spesso, non gli conviene più raccogliere il prodotto ortofrutticolo dal momento che il costo del lavoro della sola raccolta è già superiore per unità di prodotto al prezzo pagato loro dalle centrali di acquisto.  Il risultato finale è la comparsa di forme di caporalato che portano ai casi di Rosarno in Calabria o di Nardò in Puglia, dove migliaia di migranti sono resi schiavi negli agrumeti. Carne da macello al prezzo di un euro l’ora.

Ma dove finiscono i vestiti Cheap price, gli smartphone, i giocattoli, le arance, i pomodori, le bottiglie di aranciata, i barattoli di pelati? Prima di arrivare nei negozi dei centri commerciali e negli scaffali dei supermercati, questi prodotti vengono movimentati da lavoratori, soprattutto migranti, impiegati da aziende cooperative alle quali le catene della Grande Distribuzione Organizzata appaltano il lavoro nei propri magazzini. È il comparto della logistica. I lavoratori di queste cooperative (spesso false coop), non si vedono. Nell’ombra fanno funzionare la grande distribuzione. Ma nell’ombra succede di tutto: salari decurtati, zero diritti, zero sicurezza e chi sciopera viene licenziato.

Le merci imballate vengono caricate sui Tir, giganti dell’asfalto carichi di morte, causa di circa il 40% dei sinistri stradali. Gli autotrasportatori sono costretti a percorrere tanti chilometri su e giù per l’Italia senza rispettare i limiti di velocità, sorretti da caffè e a volte anfetamine, indotti a manomettere il cronotachigrafo per arrivare nei tempi dettati dalle imprese di trasporto. Se non accettano queste condizioni saranno sostituiti da altri autisti più ligi alle disposizioni. Altri schiavi che competono al massimo ribasso, sono pronti a decine in questa guerra tra poveri: rumeni, marocchini, ucraini e anche italiani.

Siamo all’anello finale di questa infame filiera, i lavoratori del commercio troppo spesso precari e sottopagati. La forma contrattuale più usata nel commercio è quella part time, ma le multinazionali del commercio non ci dicono che il part-time non è quasi mai una libera scelta dei lavoratori ma è l’unica possibilità di assunzione. La probabilità di migliorare questa condizione è remota e spesso non passa attraverso il merito o l’anzianità, il risultato è un salario che si aggira sui 600 – 700 euro mensili. Può succedere che i part-time beneficino di incrementi dell’orario di lavoro, ma nessuno dice che si tratta di aumenti di ore contrattuali temporanei e discrezionali. La speranza di poter ottenere questi incrementi costituisce uno degli strumenti preferiti dalle aziende per mantenere sotto ricatto chi lavora. Ed è questa discrezionalità che i lavoratori subiscono quotidianamente, che li pone sotto ricatto. Questo clima diffuso incide negativamente nella vita di relazione e sulla salute. Insomma, altri schiavi moderni al soldo delle grandi multinazionali del commercio.

Una filiera di sfruttamento, caporalato, salari da fame, condizioni di salute e sicurezza da medioevo e morte. Una filiera funzionale al modello sociale che ci vogliono imporre attraverso lo sfarzo e le luci dei centri commerciali. Questa aberrazione torna ai disonori delle cronache solo quando c’è una strage sul lavoro, ma per il resto dell’anno resta nascosta nell’indifferenza dello Stato, che smantella la legislazione sul lavoro e depotenzia gli organi di controllo in nome della produttività, e nella complicità dei sindacati di palazzo che, ormai, chiudono entrambi gli occhi e pensano soltanto all’autoconservazione delle burocrazie sindacali.

Insomma, il prezzo che paghiamo è salato; la filiera, nei suoi vari passaggi, produce stragi, morte, schiavitù, lavoro minorile, sofferenza quotidiana per tante donne e tanti uomini privati della propria dignità… E’ il prezzo troppo alto del loro progresso!

About Francesco Iacovone

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