Donne e lavoro nell’Italia del Jobs Act: a parlarcene è Jessica Amadei, una delle troppe precarie a cui questa società maschilista preclude il futuro.
Siamo in un periodo non proprio florido in tema occupazionale e ne siamo ben consapevoli. Giovani e non più giovani hanno difficoltà a trovare un lavoro che possa garantire il minimo sufficiente per potersi mantenere, anche se, dai dati provvisori dell’Istat, risulta un aumento occupazionale a Gennaio 2016 pari allo 0,3% rispetto al calo del mese di Dicembre 2015. L’aumento occupazionale interessa sia uomini che donne “Il tasso di occupazione cresce di 0,2 punti percentuali per gli uomini, arrivando al 66,1% e di 0,1 punti per le donne, attestandosi al 47,5%” (fonte ISTAT occupati e disoccupati gennaio 2016).
Come possiamo notare dagli ultimi dati Istat rimane ancora forte il divario tra i generi in materia di occupazione in cui l’anello debole rimane e permane il genere femminile. Non a caso nell’ultimo mese, anche se la disoccupazione rimane invariata e stabile, a farne le spese rimangono sempre le donne che vedono un aumento della disoccupazione femminile dello 0,3%, a differenza del calo dello 0,3% della disoccupazione maschile.
A fronte di questi dati e delle esperienze lavorative vissute, continuo quotidianamente a chiedermi se l’Italia possa essere definito un Paese per donne. Non solo rispetto all’occupazione lavorativa, ma anche per quanto riguarda i servizi rivolti alla primissima infanzia (0-3 anni), dove al momento si registra un disinvestimento importante. Servizi che, come ben si sa, risultano fondamentali per una donna che lavora e deve barcamenarsi tra lavoro e famiglia. Infatti, anche se rispetto al passato la donna ha conquistato risultati importanti in tema di parità di genere, per raggiungere quella parità si è ancora molto lontani. La discriminazione che emerge soprattutto nei luoghi di lavoro, ne è un esempio. Il diritto alla maternità spesso e volentieri risulta essere un diritto fin troppo oneroso per un datore di lavoro che si trova a dover assumere una nuova figura lavorativa per sostituire la donna in maternità.
Inutile nasconderci dietro ad un dito, questa discriminazione nei luoghi di lavoro esiste ed io personalmente in passato ho visto la parte datoriale non rinnovare contratti a donne solo perché in stato interessante, nonostante le capacità comprovate dalle stesse in ambito lavorativo. Lo stesso non accade nei confronti degli uomini. Un uomo/papà con comprovate capacità lavorative ha molte più possibilità della donna/mamma di essere assunto a tempo indeterminato in un’azienda o veder rinnovato il proprio contratto. La condizione genitoriale è spesso determinante in ambito lavorativo a secondo del genere, ma anche e soprattutto il genere è determinante.
Una mamma è spesso vista come un motore lento dell’ingranaggio quando costruisce una famiglia, mentre invece è l’ingranaggio più resistente. Una donna e mamma che lavora è una donna appagata ed è una persona che investe nella famiglia, nella formazione e istruzione dei propri figli (scuola), nei bisogni primari e poi secondari sia per sé stessa che per i propri figli. E’ quindi una donna che investe e che fa girare l’economia.
Una donna che con difficoltà viene inserita nel mondo del lavoro, che lavora saltuariamente o con contratti a termine o che vive la condizione ed il disagio sociale della precarietà, ha molte più difficoltà a portare avanti un progetto di vita più ampio.
Bisogna modificare il trend attuale ed investire risorse per la parità di genere, non lo dico io che sono una delle 5000 precarie dei nidi e della scuola dell’infanzia del Comune di Roma, ma lo afferma a gran voce anche l’Europa. Abbiamo bisogno di misure che incrementino l’occupazione femminile e per poterlo permettere non c’è bisogno solo di lavoro, ma anche di politiche sociali adeguate e soprattutto c’è la necessità di investire seriamente sui servizi educativo-scolastici rivolti alla primissima infanzia, così da poter permettere alle famiglie e quindi anche alle donne di poter coniugare l’attività lavorativa con quella genitoriale.