H&M e Next hanno mostrato la polvere che si cela sotto il tappeto della moda a basso costo: i bambini rifugiati siriani in Turchia sono vittime di sfruttamento. Le Ong denunciano che non ci sono abbastanza controlli e i minori che scappano dalla guerra, spesso finiscono in fabbriche che sono veri e propri gironi danteschi; centinaia di migliaia di siriani rifugiati in Turchia lavorano per quattro soldi e tra di loro ci sono i bambini.
L’organizzazione non-profit Business and Human Rights Resource Centre, ha sottoposto un questionario a una trentina di grandi aziende che lavorano in Turchia e le uniche a riconoscere di aver riscontrato lavoro minorile nel corso del 2015 sono state H&M e Next. I due colossi, che hanno invaso le nostre strade e i nostri centri commerciali, hanno fatto la scoperta e hanno chiesto di indagare su tutta la filiera dei fornitori, anche per le altre aziende concorrenti.
La vicenda è stata portata alla luce dall’Independent e ha scosso la Gran Bretagna. Il giornale britannico mette in evidenza che molte altre aziende non hanno risposto alle domande sull’impiego di lavoratori siriani nei loro stabilimenti. Il quotidiano ci rammenta che Topshop, Burberry, Marks & Spencer e Asos, leader nello shopping inglese, si forniscono proprio in Turchia, oltre che da altri Paesi come Cambogia, Cina e Bangladesh, dove i fenomeni di lavoro minorile sono all’ordine de giorno.
La solita vecchia storia di sfruttatori e di sfruttati. Sembra proprio la scoperta dell’acqua calda: tutti noi sappiamo le condizioni dei lavoratori del sud del mondo, tutti noi sappiamo che la globalizzazione li ha spinti finanche a Prato. Tutti noi siamo vittime delle onde elettromagnetiche degli smartphone costruiti in Cina, del colesterolo ingerito dai cibi delle multinazionali o dei veleni dei giocattoli e dei vestiti costruiti a basso costo nei paesi poveri. E nello stesso tempo siamo carnefici degli schiavi che li producono!!