Il decreto del governo Monti, noto come “salva Italia”, come da me profetizzato, sta producendo i suoi effetti nefasti ed evidenziando le sue contraddizioni. Ma la cosa più grave sta nel fatto che questo decreto poggia le su fondamenta da un assunto sbaglòiato: ce lo chiede l’Europa. Come evidenzia la foto di questo post, in Europa le politiche di liberalizzazione sonno anni luce più rispettose del diritto alla festa degli addetti del settore.
Mentre IKEA attacca il diritto alla festa dei propri dipendenti e sul proprio sito comunica le prossime aperture di Santo Stefano, Pasquetta e Ferragosto, in Austria si riposa finanche di sabato e di domenica. Ma la multinazionale svedese del mobile a basso costo è ingorda assai e non si accontenta dei suoi profitti da capogiro e si permette di licenziare poveri cristi per i motivi più futili e disparati. Dal nord al sud di questo paese. Marica a Milano, Filippo a Roma e Claudio a Bari.
La possibilità degli esercizi commerciali e dei grandi ipermercati di tenere aperto sempre, anche durante le domeniche e i festivi, è stata recepita subito da tutti i soggetti interessati, creando un vantaggio e una comodità apparenti per “l’homo consumens” e, nel contempo, gravissimi problemi per i lavoratori, che non hanno più tempo per se stessi e per le proprie famiglie, aggiungendo un ennesimo tassello al puzzle di precarietà, basso salario, difficoltà nella vita di relazione e degli ormai pochissimi diritti per oltre due milioni addetti del settore.
La crisi del commercio non ha nessun collegamento con le aperture e la liberalizzazione degli orari ma nasce dalla mancanza di reddito diretto ed indiretto dei consumatori, ed ecco una prima contraddizione evidente. Le mirabolanti promesse di crescita occupazionale all’indomani del decreto Monti si stanno traducendo oggi in chiusure di migliaia di imprese piccole e grandi, che non reggono la concorrenza, e le nuove assunzioni nella Grande Distribuzione Organizzata sono rimaste lettera morta e si sono tradotte in aumento di carichi di lavoro degli occupati e già precarizzati lavoratori dei centri commerciali.
Il suddetto aumento dei carichi di lavoro e quello del nastro orario per far fronte alle liberalizzazioni, e siamo alla seconda contraddizione, non si è tradotto in stabilizzazione dei rapporti precari o in crescita salariale. I lavoratori della GDO hanno visto aumentare la flessibilità e la precarietà e nel contempo le aziende ed i sindacati concertativi hanno “limato” le maggiorazioni festive e domenicali attraverso macchiavellici accordi a perdere. Insomma, lavorare di più per guadagnare di meno.
In un paese che fa i suoi continui richiami alla “sacralità” della famiglia e dove i servizi pubblici non sono attivi spesso neanche il sabato, ed in un settore dove l’80% degli occupati sono di sesso femminile, si evidenzia una terza forte contraddizione. Come può una donna che lavora nel commercio – dove la flessibilità è un elemento imprescindibile e straordinari, festivi obbligatori, orari che cambiano ogni giorno, ferie non concordate sono la normalità – rendere conciliabili i tempi di vita e di cura della famiglia con il proprio lavoro?
Le bugie hanno le gambe corte, caro Professor Monti.