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Il dramma delle mamme costrette ad abbandonare il lavoro

“Lavoro su turni con un contratto part-time, ma con gli orari del centro commerciale arrivo a casa e Alessio già dorme. E cosi passano giorni prima che riesca a trascorrere qualche ora con lui. Ho chiesto la modifica dei miei orari ma non mi viene accordata, quasi tutto quello che guadagno se ne va per la baby-sitter. Rinuncerò a qualcosa ma potrò finalmente crescere mio figlio.”

Ah se ce ne raccontano di balle. E adesso che siamo in campana elettorale ce ne raccontano di più. I politici ci dicono di essere attenti alla famiglia, fanno finta di preoccuparsi della bassa natalità del nostro paese e della condizione femminile. E allora ci parlano di pari opportunità e si bonus bebè, di agevolazioni per chi ha dei figli e di fantomatiche leggi per le mamme lavoratrici. Ma poi, un mattina qualunque, fai un giro all’ispettorato del lavoro e ti scontri con la realtà: la solita giornata di ordinaria follia. In fila tra una chiacchiera e l’altra, ti rendi conto che la gran parte delle donne-mamme sono lì per vidimare il loro licenziamento e dichiarare di non aver ricevuto pressioni dal datore di lavoro. Alla faccia della legge che tutela l’occupazione femminile.

Un vero e proprio esercito quello delle neomamme che devono abbandonare il lavoro. I numeri sono da capogiro e ci raccontano di 25mila donne in Italia costrette a licenziarsi per accudire i figli o per non poter conciliare lavoro e famiglia. A parlare sono i dati dell’ispettorato del lavoro: 37.738 le dimissioni volontarie da parte di genitori con figli fino a 3 anni, 29.879 neomamme, di cui soltanto 5.261 si sono licenziate per cambiare lavoro, le altre hanno dovuto semplicemente abbandonare la prospettiva di un impiego. Per gli uomini si parla di 7.859 di cui 5.609 sono passati ad altra azienda, differenze abissali.

I motivi di questa scelta forzata sono tanti: dai costi elevati dell’asilo nido alla mancanza degli stessi; dalle difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia agli stipendi troppo bassi. E poi i nonni sempre più impossibilitati a badare ai nipoti poiché a loro volta ancora costretti a lavorare. La regione in testa in questa odiosa classifica è la Lombardia, seguita da vicino dal Veneto, dal Lazio e dall’ Emilia Romagna. Al Sud i numeri sono molto più bassi, ma soltanto per la scarsissima occupazione femminile.

Se andiamo poi ad analizzare il tipo di lavoro ci accorgiamo che operaie, commesse e impiegate sono le più colpite con oltre 28mila abbandoni contro i 680 delle donne dirigenti e quadro. Insomma, chi guadagna meno è costretto a licenziarsi. Basta infatti considerare che solo per asili e tate si possono spendere anche 500 euro al mese a cui aggiungere le spese per pappe e pannolini, una cifra folle se rapportata agli stipendi bassi di una donna che fa l’operaia, la commessa o l’impiegata. Si arriva così a preferire la disoccupazione piuttosto che lavorare per guadagnare poco e non avere neppure il tempo di badare al proprio figlio.

Questa è la fotografia di un paese incivile, a corto di servizi per l’infanzia e che trasuda una violenza sottile rivolta alle lavoratrici madri, costrette a rinunciare alla propria autonomia economica e sociale solo perché hanno ceduto alla gioia di avere un figlio. Forse dovremmo ripartire proprio da qui…

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