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La commessa: il mobbing, la domenica e la festa della mamma

Mi chiamo Matilde e faccio la commessa. Oggi è domenica, quella domenica che coincide con la festa della mamma, e anche oggi sarà un giorno di ordinario mobbing.

Ecco che mi metto a piangere. Non mi sopporto! Non dipende da me o forse sì. Non riesco a trattenerle queste lacrime. Fra poco singhiozzo pure! Che idiota che sono! Mi vedranno dal finestrino. Che figura! Una tipa che guida e piange. Che idiota!

Mi basterebbe così poco per smettere! Tornare da Claudio che piangeva, anche lui. Non posso mai promettergli nulla. Anche oggi non è domenica, non c’è parco, non c’è sole, non c’è allegria. Non per me. L’ho lasciato con la nonna. Ma lui non smetteva. Sono scappata come una ladra colta in fallo.

“Si che ti voglio bene!” ma gliel’ho quasi urlato mentre uscivo. Cos’avrà capito? Ha solo tre anni.

Lascio il lavoro, mi licenzio, bimbo mio. Ci tolgono tutto, non ci manca niente tranne il tempo per noi. La vita insomma! Potessi farlo!

Mi hanno calibrato ogni turno, ogni mio passo, ogni azione, intorno alla mia vita e così anche alla tua. Un cappio e via! Fin quanto duro. La crudeltà distillata a gocce.

Ha pure un nome, una faccia e una voce l’aguzzina! Per quattrocento euro in più. Ma forse lo farebbe anche gratis per quanto gusto ne ricava. Vomita la sua prepotenza primordiale.

Va a scuola di danza due volte alla settimana, ama il teatro, dice, ama scrivere dice, si fa grande di ogni sua cosa. La magniloquenza della capo reparto di un centro commerciale. C’entrassi qualcosa nelle sue frustrazioni! Arriva con le sue gambe snelli, il suo viso bello se non parla e mette in scena il suo teatro. Scimmiotta la gran dama girandomi intorno, la sua faccia si deforma mentre mi schernisce e sghignazza.

Potrei non considerarla affatto. L’ignoranza è da scavalcare, è solo viscere e niente cervello. Ricordalo Claudio.

E sia! Che parli, che mi insulti davanti ai colleghi complici, davanti ai clienti. E sia! Una grossa e grassa risata sulla mia pelle e anche sulla tua. Potrei riderne anch’io della mia grossezza, della vita larga, dei seni grandi e degli occhi sempre rossi. Ma alle minacce! Le azioni punitive! Come si fa?

Siamo già a due lettere di richiamo per inadempienze mai commesse. E’ da quando sono tornata, dopo che sei nato, che non ho più domeniche, cambio mansione ogni due mesi, non c’è permesso che mi venga accordato se non differito di settimane, non ci sono ferie che non siano interrotte per presunti picchi lavorativi.

Voglio portarti al mare Claudio. Voglio seguire i riflessi delle onde nei tuoi occhi mentre giochi sulla riva.

Quanti castelli di sabbia da costruire senza che nessuno li possa abbattere! E non ti dico nemmeno che ti voglio bene. Ti abbraccio e rido! Ecco, ti abbraccio e ridiamo.

  • Sei arrivata? Gesù! Mettiti su una faccia migliore che non ti si può guardare. Scusa, davvero, non hai una bella cera. Oggi sei al rifornimento scaffali.-
  • Ma non ci sono mai stata.-
  • E allora è il giorno buono. Devi sostituire Giuseppe. A proposito, mi serve che resti un’ora in più. Un paio di persone sono in malattia oggi. –
  • Ma …-
  • Senti Matilde, non ho tempo da perdere. Lo sai che siamo sempre in emergenza la domenica. Se arrivavi prima ne parlavamo ..-
  • Ma sono in orario.-
  • Si certo, spacchi il minuto. Abbondi di impegno tu! La relazione fra voi colleghi è importante. Migliora il lavoro di tutti. Se arrivate sempre ai cambi di turno… Dove vai?-
  • Stavo ancora parlando. –
  • Non volevo farti perdere tempo.-
  • Fai pure la spiritosa.-
  • Ma no ..-
  • Hai solo “ma” nel tuo vocabolario? Ricco direi! –
  • Sonia, basta!.
  • Basta cosa?-
  • .A..S..T.A! –
  • Ma perché stai urlando? Era solo una battuta.-

Oddio! Mi manca l’aria. Ma non voglio darle certo questa soddisfazione! Ma non ce la faccio. Sono stanca, troppo stanca. Chiudo gli occhi. Un attimo, un attimo solo. Non voglio vederla.

  • Matilde!-

Che ci fa Giuseppe qui? Non dovevo sostituirlo?

  • Giuseppe, che vuoi tu?-

Giuseppe mi guarda. Non capisco.

  • Non vado più via. Mi sento meglio. Puoi lasciare Matilde in cassa.-

Vorrei dirgli grazie. Ma non riesco a parlare. Mi siedo solo un attimo qui fuori sugli scalini. Non riesco a crederci. Cosa succede?

  • Non ci penso proprio. Non è un bel vedere oggi. Insomma in cassa non posso proprio lasciarla.-
  • Esageri Sonia.-
  • Che?-
  • Lasciala stare.-
  • Altrimenti che succede? Stai attento!-
  • Basta Sonia!-
  • Maria? Ma cos’è una congiura? –

Anche Maria. La più silenziosa, la più mite di tutti? Carlo? Patrizia? Ma arrivano tutti?

  • Puoi licenziare anche me se è questo quello che pensi di fare. Dai Sonia! Minacciami!-
  • Licenzia anche me-
  • Anche me-
  • Si certo licenziaci tutti-
  • E ti faremo una bella causa.-
  • Si certo. Vediamo chi vince.-
  • E che pensate di fare? Ora vado dal direttore.-
  • Non vai da nessuna parte.-
  • E chi me lo vieta? Pensate che il direttore ascolti voi?-
  • Un avvocato ascolterà noi tutti.-
  • Si tutti.-
  • E anche un sindacato.-
  • E anche la stampa.-
  • E anche l’Ispettorato del lavoro.-
  • Lascia perdere Sonia. Vattene nel tuo ufficio.-
  • Ma siete impazziti tutti?-
  • Ecco brava, vattene.-
  • Matilde come ti senti?-

Grazie Maria! Ma non riesco a parlare. Sorrido e piango. Sorrido e piango mentre Giuseppe mi aiuta a rimettermi in piedi.

  • Vai a casa. Il tuo turno oggi lo copriamo noi. Vai a casa, riposati.-

Queste le parole che ho sentito in fine. La voce di Giuseppe che ancora mi suonava calda, accogliente quando è avvenuto lo scontro. Di caldo c’era solo il mio sangue. Ho battuto la testa ma mi sono solo spaccato un sopracciglio. Niente di grave.

Ora Claudio dovrei andare al centro antimobbing, mi sottoporranno a dei test e poi ad una psicoterapia. Non vorrei andarci.

E se bastasse un muro di civiltà per abbattere la bruttura di Sonia?

“Storie” di Biagia Todino

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