La storia la conoscete ma la conoscete male e vi è stata presentata peggio. L’Aggressività che abbiamo visto dopo un video pubblicato su Twitter, che non vi mostrerò, è frutto di una fake news, una vera e propria manipolazione.
Il Video mostra una commessa ripresa contro la sua volontà (nei primi secondi dichiara “Non inquadratemi il volto: solo audio” e il suo volto è finito in pasto alla Rete comunque), che dichiara di “non poter provvedere alla vendita verso cittadini russi”.
Il cameraman, in lingua inglese, incalza chiedendo se venderebbero “a un amico di Firenze col passaporto italiano e poi lo indossassi io”. La commessa risponde di sì.
Da questo è nato un hashtag con boicottaggio verso Bottega Veneta e accuse alla commessa (della quale abbiamo visto il volto, riconoscibile nonostante la mascherina, e sappiamo anche la filiale dove lavora. Entrambi dati che non vi fornirò di nuovo).
Ma le le direttive ricevute dalla commessa sono compatibili con l’interpretazione del Regolamento 427/2022. Per essere precisi, il Regolamento di Esecuzione UE del 15 marzo, 427/2022 che introduce restrizioni alla vendita, fornitura, trasferimento ed esportazione diretta o indiretta di beni di lusso il cui valore è superiore a 300 euro per articolo, salvo diversa indicazione.
Ma tant’é, la manipolazione del video e della “notizia” hanno messo alla berlina una povera lavoratrice rea di aver eseguito al meglio le sue mansioni.
Ma analizziamo il perché
Giornalista, fotografo e content manager: dalla macchina da scrivere alla piazza virtuale
In principio fu il taccuino. Se dovessimo scrivere l’evoluzione del lavoro del giornalista cominceremmo così. Perché era il taccuino, all’inizio, il tablet del collaboratore di una testata: con quello e la penna (preferibilmente ne aveva con sé per precauzione più d’una), annotava gli eventi cui partecipava o che gli raccontavano, realizzava interviste, stendeva la prima bozza di quello che sarebbe stato il suo articolo. Poi di corsa in redazione, ma più spesso a casa, per scrivere “il pezzo” secondo le misure assegnate, da dettare al dimafonista in una telefonata a carico del giornale. Per la cronaca il dimafonista era la persona che riceveva la telefonata, la registrava sui mezzi disponibili all’epoca e poi trascriveva quanto ricevuto direttamente alla linotype per renderlo disponibile ai redattori per la correzione e la titolazione. Nella dettatura bisognava essere attenti, parlare se necessario sillabando le parole a rischio di comprensione, magari componendole con nomi di città. Così, ad esempio, un nome come Tolstoj veniva ripetuto con Torino, Otranto, Livorno, Salerno, Torino, Omignano, Johannesburg. Negli anni ‘80, ma soprattutto nei ’90, subentrò il fax, e il dimafonista cominciò ad essere usato solo nelle situazioni in cui il cronista era impossibilitato a trasmettere con quello strumento. Con l’avvento di internet e della mail, e ancor più grazie ai primi smartphone, è poi definitivamente scomparso.
Le foto a corredo degli articoli, quando previste, erano scattate dai fotografi della redazione, ai quali toccavano quotidianamente corse in lungo e in largo sul territorio per poi ritornare velocemente in redazione a sviluppare i loro lavori. Per la trasmissione nelle sedi di stampa dei giornali, senza andare troppo lontano nel tempo, fino all’avvento del digitale era in uso la telefoto. Era un trasmettitore di immagini a impulso elettrico via telefono, e rotava ad una velocità variabile tra i 60 e i 240 giri al minuto.
Ma ormai questo è il passato, le notizie le verificano in pochi e per un click in più ci si sente padroni di rovinare la vita di una commessa. E’ questa la società liquida, bellezza.