Maledetta estate, quella del 2014. Anche il tempo sembra accorgersi che c’è qualcosa che non va: le nuvole nascondono timidamente il sole, forse per pudore, forse per voler celare quanto di brutto ci sta mostrando quest’estate maledetta
Un’estate di guerre, di morte, di disperazione e di solitudine. Solo nell’eterno déjà-vu della striscia di Gaza l’infame conflitto ha provocato la morte di quasi 2000 palestinesi di cui 296 sono bambini e adolescenti. I bambini costituiscono un terzo delle vittime civili, bilancio ancora provvisorio che potrebbe ulteriormente aggravarsi nelle prossime ore; dei morti accertati (187 bambini e 109 bambine) almeno 203 avevano meno di dodici anni.
Maledetta estate, quella del 2014. L’aggressione di Gaza non è l’unico fronte: a due passi da noi c’è la dimenticata guerra in Siria, il fronte Ucraino, l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan. Ci sono poi quelle guerre non meritevoli di essere riportate sulle prime pagine dei giornali, quelle guerre che non guadagnano l’apertura dei notiziari televisivi, che non monopolizzano il dibattito pubblico e non rimangono per sempre stampate sui libri di storia. Guerre altrettanto cruente e sconvolgenti, gravi e durature. Destinate a cadere nel dimenticatoio assieme al grido di dolore di milioni d’individui per i quali la guerra è pane quotidiano. Altre guerre in cui le principali vittime di queste follie degli adulti sono soprattutto i bambini. Ma i bambini non sono mai pronti a morire.
Le guerre non sono solo quelle dei soldati e delle armi. Ci sono altri fronti aperti in questa maledetta estate del 2014. Guerre silenti che colpiscono lavoratori, precari, disoccupati, sfrattati, pensionati, migranti. Guerre che producono stragi sul lavoro, suicidi, morte, schiavitù, lavoro minorile, sofferenza quotidiana per tante donne e tanti uomini privati della propria dignità. Guerre che hanno come obiettivo l’arricchimento di pochi a danno dei tanti, chiamati a pagare il prezzo troppo alto di quello che ci spacciano come progresso.
Maledetta estate quella del 2014. Anche l’asfalto sembra accorgersi che c’è qualcosa che non va: sente il peso delle tante auto di chi è rimasto in città. I ricchi stanno per andare in vacanza. I poveri no, continuano a lavorare o a cercare lavoro. E così il grande raccordo anulare rimane popolato, circonda trafficato una capitale depressa e surreale che perde un po’ della sua bellezza agostana fatta di silenzi rotti dal canto delle cicale, di caldo afoso che si specchia nell’asfalto rovente e di turisti che si bagnano il capo alle fontanelle (per noi romani ai nasoni).
Maledetta estate del 2014, sto per andare in ferie ma quest’anno sarà diverso. Quest’anno ci andrò con i bambini di Gaza nel cuore.