I commessi protestano e molto spesso, troppo, si sentono dire “prendi una laurea e cambia mestiere”. Fosse facile. Nessuno si indigna per il nostro Ministro del Lavoro diplomato in agraria o per la Ministra della Sanità e quella dell’Istruzione appena diplomate. Insomma, la pena da scontare per un commesso è la scarsa istruzione. Ma sarà così vero? E poi, la scarsa istruzione giustificherebbe la mancanza di diritti e garanzie?
Gironzolando in rete ho scoperto quello che sapevo già: non è vero affatto. E sono sicuro che molti di voi potranno confermarlo. Sul Tirreno, quotidiano on line di Livorno e provincia, a firma di Gabriele Baldanzi, ho scovato la storia di Francesca, lavoratrice Unicoop. Una bella storia.
Francesca ha quarant’anni, da quattordici è una delle tante donne che fanno la Coop ogni giorno. Francesca, come ogni commessa ha la sua storia di donna e di lavoratrice. Una donna che ha superato ostacoli non banali, perché non è mai banale un problema di salute. Francesca è una commessa che proviene dagli uffici di sede – a Vignale Riotorto – e nonostante gli anni in ufficio, da amministrativa nel settore manutenzione, è tornata dietro un banco assistito di un ipermercato. E’ una dei 140 dipendenti dell’Ipercoop Maremà.
Francesca ha due lauree: una in teologia (ottenuta a Roma, alla Pontificia Università Lateranense), l’altra in psicologia. Ma oggi è orgogliosamente pescivendola, e mentre lo racconta sorride: «È una storia lunga e non proprio lineare. Premetto che questo lavoro lo faccio con impegno, lo stesso che ci mettevo da impiegata. Mi stanco molto di più, è vero, ma alla fine ho il contatto con i clienti che mi gratifica e un caporeparto pronto ad aiutarmi. Me lo sono fatto piacere il lavoro in pescheria e per questo devo ringraziare due donne, Brunella e Roberta, una caporeparto a San Vincenzo, l’altra a Venturina. Mi hanno insegnato tanti piccoli accorgimenti, attenzioni nel preparare il banco, nel servire i clienti. E mi hanno dato tanto sotto il profilo umano, che per me non è mai secondario».
Francesca ama il contatto con la gente: «A tredici anni ero già in sala, tra i tavoli del ristorante di famiglia, un locale stellato che oggi non c’è più, l’Ombrone. All’epoca non mi piaceva servire, ma dalla severità di mio padre ho imparato subito come comportarmi e dopo mi è stato utile».
Francesca non parla volentieri di sé. Glissa su alcune risposte, preferisce restare in superficie su altre: «Ho un marito – Alessandro – e due figlie, gemelle, di otto anni. Mi hanno concesso un part time a trenta ore settimanali, che mi permette di fare anche la mamma. Ovviamente mi affianca una baby sitter, che ci dà una bella mano. Più famosi di me sono i miei fratelli: Gianluca, titolare e chef del ristorante Yachting Club, a Castiglione della Pescaia, Riccardo che vive a Milano 2 si occupa di consulenze nel settore della ristorazione e Silvia che lavora alla Fondazione Il Sole. L’ultimo viaggio che abbiamo fatto con mio marito e le bambine è stato a giugno, in Liguria: Portofino e Cinque Terre. Abbiamo festeggiato dieci anni di matrimonio. L’ultimo libro letto è “Il giorno in più” di Fabio Volo, mentre al cinema ci vado con le figlie e mi toccano solo cartoni animati».
Francesca non è l’eccezione alla statistica. Francesca è una commessa come tante, con due lauree, un gran sorriso e tanta voglia di lavorare. Una di quelle commesse che a volte nella loro invisibilità ascoltano i clienti che mettono in guarda i figli: “studiate, altrimenti fate la fine della signorina”. Francesca non ha bisogno di istruzione, ma di un lavoro che le consegni diritti e dignità.