figlio commessa lettera

Lettera dal figlio della commessa

Caro Francesco, ti scrivo. Caro Francesco, sono il figlio della commessa.

Caro Francesco, vorrei un consiglio da te: ho provato a comportarmi bene, ma a volte ho fallito in modo spettacolare. Ho anche provato a fare quello che mi veniva detto dalla mamma, ma spesso ho trovato gioia nel fare l’esatto opposto. Però ho un grande desiderio da realizzare e spero di essere stato bravo abbastanza per meritarlo.

No, non si tratta del giocattolo più bello o del viaggio a Disneyland, che forse è una chimera se penso al lavoro della mia mamma. Si tratta di un regalo che ha a che fare con il tempo e con la libertà.

Vedi, caro Francesco, io la mia mamma non riesco a vederla quasi mai. A volta apro gli occhi al mattino e lei è già al lavoro, e quando esco di scuola lei è in pausa pranzo. La sera non sempre riesce a leggermi le favole, sai, il centro commerciale chiude alle 22.00. E così ogni giorno, fino alla domenica.

Si, perché almeno la domenica la vorrei passare insieme a lei, ma raramente ci riesco. Sai, la mamma dice che è normale, che è la legge del mercato, che la colpa è della concorrenza, ma io non le credo; perché la vedo soffrire, quanto me. A volte torna la sera, stanca, e sento le sue mani carezzarmi delicate, quasi con colpa e con la paura di svegliarmi. Altre volte le vedo gli occhi umidi che nascondono tanta rabbia e frustrazione.

Potrei continuare a lungo a raccontarti quanti momenti abbiamo perso, quante carezze mi sono mancate e quanti baci in più potevano scaldare il mio cuore; ma lo so, sei tanto occupato. Quindi, caro Francesco, quello che voglio dire è…

…è che… beh! … si… ecco… quest’anno vorrei per regalo del tempo e della libertà per la mia mamma, così da poter trascorrere la domenica e le feste con lei e con il mio papà, tutti e tre assieme. Almeno per una volta

Con affetto, il figlio della commessa.

About Francesco Iacovone

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Un commento

  1. Luisa Cagnassi

    Sarebbe ora che i responsabili delle grandi distribuzioni smettessero di considerare il personale un numero. Un robot tuttofare senza sentimenti né anima, solo disposto ad assolvere alle richieste (a volte assurde) di chi comanda. Una vera e propria dittatura.
    Gli organi competenti dovrebbero verificare che i venditori fanno orari da schiavitù e non vengono compensati. Al massimo recuperi qualche ora. Onnipresenti devono sottostare alle crisi isteriche del responsabile del punto vendita, che allo stress lavorativo aggiunge il suo personale contributo con urla e pretese assurde. Andare a comprare sigarette, o altro. Mostrare indifferenza alle problematiche personali di chi praticamente vive rinchiuso al centro commerciale. Meritocrazia zero. Qualcuno “gode” si una piccola provvigione, che non compensa le cinquanta ore settimanali solitamente svolte. La famiglia, poi, non esiste. Festività, matrimoni o cerimonie varie devono essere ignorate, salvo lunghe discussioni e astio nei confronti dei superiori. Non parliamo poi delle eventuali malattie. Bisogna andare a lavorare con la febbre, altrimenti ti stressano e te la fanno pagare… Questo non è vivere. Però mi chiedo, chi dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori come mai non vede queste ingiustizie? Schiavi, ecco cosa sono. Questa la chiamiamo evoluzione?
    Inoltre, secondo la mia esperienza, questi centri hanno maturato tanta maleducazione da parte della clientela. Tutti pensano di fare il proprio comodo. Bambini che distruggono l’esposizione e genitori che insultano se il commesso glielo fa presente. A chi si lamenta viene risposto: ” Devi essere contento perché hai un lavoro! ” Qualcuno ponga rimedio, per favore. La vita è un bene prezioso.

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