La sveglia per Eli suona sempre alle quattro del mattino. La spegne con un gesto lento e poi comincia una vita che nessuno vorrebbe avere. Per raggiungere il bar dove lavora fino a sera ci mette due ore. Quando torna a casa è già notte e i suoi quattro bambini sono stati messi a nanna dal papà, suo marito, buono, dolce, disoccupato. Non esistono domeniche né altre feste. Si lavora sempre. Una vita senza scampo, senza sosta, senza diritti. L’unica vita possibile per migliaia di persone come lei che abitano le metropoli del mondo e campano solo per faticare. Eli, interpretata da Isabella Ragonese, che si conferma una delle migliori attrici italiane della nuova generazione, è la protagonista di Sole, cuore, amore di Daniele Vicari, andato in onda su RAI 3 qualche giorno fa. Film che mi ha commosso profondamente.
Domenica, alle sette del mattino, era morta in silenzio, accasciandosi per un malore sulla banchina della fermata Termini della metropolitana di Roma. Isabella Viola aveva 34 anni e stava andando al lavoro.
Come ci raccontava all’epoca dei fatti l’Huffington Post, Isabella era una giovane mamma di 4 figli, casa a Torvaianica e lavoro in via Nocera Umbra, nel quartiere Appio Tuscolano,a Roma. Cinquanta chilometri di strada. Un autobus, due metropolitane, e un tratto a piedi da percorrere ogni giorno per mettersi dietro al bancone del piccolo bar dove lavorava. Ogni giorno, sveglia alle 4 del mattino e rientro a tarda sera.
La storia di Isabella è passata inosservata tra le brevi di cronaca dei quotidiani capitolini e in poco tempo è stata dimenticata. Una morte troppo “pulita” per guadagnarsi spazio tra la cronaca nera. Un semplice malore di una donna che da tempo riferiva di non sentirsi bene. E che però, puntualmente, si adoperava per non perdere neanche una giornata di lavoro.
A una settimana di distanza Laura Bogliolo sul Messaggero, raccontando la storia di Isabella, ha trovato un piccolo frammento di Paese. Una donna come tante, divise tra lavoro e famiglia e abituate a macinare chilometri ogni giorno. A volte – come in questo caso – impegnate anche a farsi carico dei propri mariti, rimasti senza lavoro.
Le spalle curve per il peso dello zainetto, il cappuccio per proteggersi dal freddo, il volto basso a nascondere occhi grintosi e la penombra di un dolce sorriso. Abitava davanti al mare, a Torvaianica, ma non c’era tempo e neanche luce per vederlo. Quando partiva da casa per raggiungere Roma dove gestiva un bar era ancora buio. Buio anche quando tornava. «Il mare? – diceva con ironia ai suoi affezionati clienti – È da mesi che non lo vedo».
Il giorno seguente, Massimo Gramellini su “La Stampa”, ha ripreso il racconto della giornalista del Messaggero
Dentro quella donna c’è tutto (…) C’è la mamma di quattro figli che sulla sua pagina Facebook scrive: «Una donna il suo gioiello più prezioso non lo indossa, lo mette al mondo». C’è la sognatrice che fantastica di aprire un forno tutto suo per le brioche. C’è la sgobbona di cuore che risparmia per i regali di Natale dei ragazzini e si agita per trovare casa a tre cani randagi. C’è la malata che da tempo non si sente bene, ma non può smettere di alzarsi alle 4 – a Torvaianica, in faccia a un mare che non vede mai – per prendere un bus e due linee di metropolitana fino al bar del Tuscolano. C’è una vita dura. E una persona vera, completa.
La storia di Isabella, mamma e moglie come tante, ha commosso un intero quartiere, che si è mobilitato per aiutare il marito e i figli della donna.
Ecco, la storia di Isabella è la storia di molti. E’ quel mondo del lavoro con il quale faccio i conti ogni giorno e che non ha pietà per nessuno. Neanche per la vita. Neanche per la morte.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro…