Caro Francesco,
ti scrivo come scriverei ad un amico, e mi permetto di darti del Tu, perché in questi mesi leggere il tuo blog è stato d’aiuto per me. Ma oggi no. Oggi non mi basta. Oggi è caduta la classica “goccia” che fa traboccare il vaso.
Sono una commessa part time di un supermercato, un discount di provincia, uno dove in teoria si dovrebbe ancora lavorare bene, perché i clienti sono compaesani, amici d’infanzia, visi conosciuti da sempre. Ed era così fino a qualche mese fa.
Fino a qualche mese fa non mi pesava lavorare di domenica, anche se non mi spetta da contratto, e neppure dare la disponibilità a qualche festivo. I miei colleghi sono parte della mia vita e ci si da una mano. Così pure non mi pesavano i turni in straordinario, anche se ho una situazione familiare complicata, con un figlio disabile. Lavoro da anni qui, nella mia terra, con grande senso di responsabilità. Non a caso, sono stata riconosciuta come referente del negozio, e in più occasioni ho sostituito il direttore.
Cosa è accaduto oggi? Cosa è cambiato? E’ successo tutto da quando abbiamo cambiato marchio, e quando le politiche della nuova azienda sono state di grande austerità.
Abbiamo chiuso per un mese, per ristrutturazione dei locali, lavori per i quali abbiamo dato tutti un concreto contributo lavorando anche 12 ore al giorno, senza buoni pasto, senza riposo per 21 giorni consecutivi. All’arrivo della busta paga abbiamo scoperto che a nessuno erano state riconosciute le ore di straordinario, né tantomeno i riposi mancati. In poche parole i lavori di ristrutturazione li abbiamo pagati noi!!
All’apertura del supermercato abbiamo poi scoperto che il direttore era stato trasferito, e che il nuovo ha un’altrettanto nuova politica aziendale. Dal giorno di riapertura è iniziato il calvario. Le urla in negozio si sprecano, veniamo ogni giorno obbligati a piccole riunioni dove ci sbatte in faccia con urla, minacce e ricatti gli obiettivi di budget da raggiungere, o improbabili disposizioni della merce che cambiano a seconda del suo umore.
“Se non vi sta bene, quella è la porta!” questo è il suo ritornello quotidiano. A cui si aggiunge “Ringraziate Dio che siete stati riassunti quasi tutti!”. Già perché alcuni sono stati mandati a casa, e i nuovi assunti hanno contratti precari, sono stagisti o interinali. Viviamo nel terrore, e con una squadra di “vecchi dipendenti” ormai ridotta all’osso. Hanno di fatto ottenuto che un gruppo non esiste più, e quello che c’è è spaccato dalla paura di perdere il posto.
In questi mesi, dalla riapertura, hanno abusato di tutte le armi in loro potere per sfiancarci, da turni che non escono fino al giorno prima ai permessi negati, straordinari imposti, festività imposte, il tutto condito sempre da quelle urla e minacce.
Io ho 45 anni, e 20 di esperienza, e sono sempre riuscita a rispondere e difendermi, a tenermi stretti quei pochi diritti che so di avere, e quelli che man mano negli anni ho appreso, anche a causa della mia Legge 104. E veniamo ad oggi.
Stamattina sono arrivata in negozio, dopo aver passato una notte al pronto soccorso con mio figlio, ero visibilmente stanca e ho chiesto di non stare in cassa, dove temevo cali di attenzione.
A quel punto il direttore mi ha urlato dall’altro capo di un corridoio “Serena, vieni in magazzino subito!”.
Arrivata in magazzino, io e lui soli, ha cominciato ad urlarmi contro “che io non posso decidere quello che mi piace fare in negozio, che lì decide lui, e mi mette a fare quello che gli pare, anche pulirgli il culo, se gli va!”. Dopo di che mi ha intimato di piantarmi in cassa fino alle 14 (io avrei dovuto staccare alle 13.30) perché quell’altra “sciacquetta” della mia collega oggi si era inventata una malattia. E mi ha minacciato che se non mi fossi messa subito in cassa mi avrebbe mandato a casa con una bella lettera di richiamo.
Premetto che ho un vecchio contratto part time, con turni fissi, senza domenica, e che inoltre ho la Legge 104 per mio figlio. Premetto che tutte queste cose, per mia scelta, negli anni precedenti non ho mai voluto farli valere. Ma oggi basta! Oggi non ne posso più. Non si può andare a lavoro col terrore, con attacchi di panico. Non si può restare in cassa con gli occhi gonfi di pianto, perché sopra di te c’è un direttore che abusa del suo potere.
Non ho mai pensato di iscrivermi al sindacato, fino ad oggi. Pensavo di potercela fare da sola, perché mi sentivo forte anche del clima di fiducia coi miei colleghi. Ma ora tutto sembra svanire, e io mi sento ogni giorno più debole.
Quindi finisco di scriverti Francesco, per chiederti come posso fare ad iscrivermi al sindacato che rappresenti. Ho seguito tante delle tue battaglie, e in questa ti vorrei al mio fianco.
Grazie della tua attenzione!
Serena