Sono una non più giovincella laureata in Relazioni Internazionali, la mia storia di lavoro è una storia di contratti e progetto, piccole e grandi tessere di una professionalità riconosciuta in tutto tranne che contrattualmente, tra momenti di entusiasmo e sconforto, lavori lasciati a malincuore a figlidi e signorcostamenodite e di continue riflessioni su “che ci vuoi fare? fuori c’è di peggio.” (citando una neocollega).
Il mio attuale contratto di cococo. mi è stato offerto con la prospettiva di un’assunzione a tempo indeterminato tra un paio di anni. Me lo tengo stretto nella sua unicità, dato il settore in cui ho ancorato il cuore (no profit e progettazione europea), ma noto problemi e insicurezze che con lo stesso contratto non avevo mai avuto prima.
Sono stata abituata a considerare il mio un contratto con un’obbligazione di risultato, e invece nel mio nuovo contesto lavorativo mi ritrovo ad avere gli stessi obblighi di un indeterminato. Il clima in ufficio è quello del “divide et impera”, nessuno parla dei propri contratti, le persone arrivano e lasciano il lavoro senza che se ne faccia parola. Un clima gelido in un contesto il cui cuore dovrebbe essere caldo, accogliente, inclusivo.
Ho firmato il mio contratto quasi un mese dopo aver iniziato a lavorare. Quando l’ho letto ho storto il naso: 46 ore al mese. Eppure mi hanno richiesto di lavorare 8 ore al giorno, 5 giorni su 5. Sono 40 a settimana, e non posso lavorare da casa. Il contabile addetto alla firma alla mia domanda mi ha alzato le spalle. Dovevo far problemi? Si, ma nella disperazione ho firmato, e posticipato la discussione al prossimo rinnovo tra 3 mesi.
Mi era stato detto che gli orari non sono scritti sulla pietra. Ma per uscire prima o entrare dopo devo avvisare il responsabile finanziario, il responsabile delle risorse umane, il responsabile della segreteria organizzativa, nonchè i miei diretti superiori per i progetti di cui mi occupo e attendere la loro approvazione.
Non mi sono state indicazioni su ferie e permessi concessi. Mi sembrava ovvio. Invece scopro che devo stare attenta a quanti permessi chiedo, quanto regolarmente, alle ferie che prendo perchè potrei subire decurtazioni dello stipendio, se non un rinnovo del cococo al ribasso o con declassamento a lettera di incarico.
“Che ci vuoi fare? fuori c’è di peggio.” Sa che nonostante tutto la mia collega ha ragione? Ho il mio stipendio che mi permette di non chiedere nulla e contribuire alle spese familiari. Non mi permette piena indipendenza economica, ma almeno posso pagare la psicologa che mi ha aiutato tanto a gestire questa precarietà e a non fare scelte estreme (sempre che mi diano il permesso di andare agli appuntamenti).
I responsabili risorse umane non sono molto indipendenti, e mi sento insicura a fare discussioni sui miei diritti. Eppure mi sento in un rapporto di do ut des molto sbilanciato. Chiudo occhi ma non vengono chiusi per me. Non so come affrontare l’argomento senza passare per piantagrane e vedere a rischio il mio rinnovo.
Ho cercato informazioni. Commercialisti mi hanno invitato a far poco la schizzinosa vista la fame attorno a me, e diversi sindacalisti hanno allargato le braccia dicendomi che se non ho un contratto da CCNL non si può fare nulla. Un amico avvocato mi ha addirittura invitato a “raccogliere prove” per fare causa in caso di non rinnovo.
Sono cresciuta studiando storie di diritti, di lotta operaia, di direttive europee a tutela del lavoro. Sogno parità retributiva, congedi di maternità uguali e obbligatori per uomini e donne, gioisco per il whisteblowing. Ho guardato con invidia alla cassa integrazione, all’indennità di disoccupazione, e anche alla lettera dell’inps per il calcolo della pensione… avrebbe significato che anche per me c’è qualcosa da calcolare. I diritti del lavoratore sono incredibili conquiste, ma oggi rimangono sulla carta quando si è soli e non facenti parte di una categoria. Da contratto atipico mi sento sola. E’ possibile che per non sentirmi sola debba fare riferimento solo a storie di eguale sfruttamento? Perché nessuno apre il vaso di Pandora?
Alessia, 30 anni e passa…