sos part time contratto

SOS part-time: contratto imposto e fonte di ricatto

SOS part-time, una vera e propria emergenza nel nostro paese e i dati sono lì a dimostrarlo. Imposto nella maggior parte dei casi e usato come strumento di ricatto, il part-time penalizza soprattutto il lavoro e i salari al femminile.

La Relazione congiunta sull’occupazione pubblicata dalla Commissione Europea lo scorso 15 marzo 2018 (European Commission -Joint Employment Report 2018 -As adopted by the EPSCO Council on -15th March 2018). non lascia scampo ad illusioni, falsi slogan ed inutili consolazioni da parte di chi ancora si affanna a convincere gli Italiani che siamo fuori da una crisi e che l’occupazione sia in ripresa. Di fatto siamo tra i peggiori dei paesi europei che (vedi Tab. 1):

1-      non riescono a dare pari opportunità e accesso al lavoro;
2-      il mercato è stagnante, non riesce a creare condizioni eque di occupazione;
3-      tutte le misura di protezione e lotta contro la povertà e l’inclusione sociale non hanno quasi nessun impatto sulle condizioni reali.

Non è questa la sede per ripercorre tutti i vari punti esaminati dalla Commissione Europea. La nostra attenzione in questo presente studio vuole essere un focus ed un approfondimento sul lavoro “part-time”. Tuttavia  accennare a questa situazione globale ci aiuta a comprendere ancor meglio e di più ciò che la maggior parte dei lavoratori combatte quotidianamente perché non si tratta  semplicemente di “lavoro”,  ma di diritto ad una vita dignitosa che non ci porti in affanno per arrivare a fine mese, sempre che ci si arrivi, alle difficoltà ulteriori soprattutto se siamo donne, allo spauracchio e al ricatto della disoccupazione a cui dover sottostare, spesso all’unica possibilità di  dover ingoiare ogni rivendicazione e doversi adattare ad accettare di tutto pur di avere un misero stipendio.

I dati dell’INPS sull’osservazione del Precariato non lasciano dubbi sul fatto che, finito l’effetto traino del jobs act, il mercato si sia sempre più caratterizzato per un’inclusione del lavoro di un “ingente forza lavoro precaria”. Se a ciò si aggiunge anche la quota di part-time involontario, che sotto le mentite spoglie del lavoro a tempo indeterminato, riflette un’ulteriore condizione di “sottooccupazione”, appare sempre più chiaro che alla situazione fotografata dalla Commissione Europea, l’Italia non solo non ha reagito con mezzi adeguati ma ha ulteriormente aggravato la propria situazione: maggiore rischio di povertà assoluta e relativa, maggiore diseguaglianza di reddito. Non è dunque una beffa dichiarare che cresce l’occupazione? Cresce di somministrati, tempi determinati, lavoratori intermittenti e par time involontari che, in media, tra i redditi più alti, non superano i 10.500 euro all’anno, cioè 875 euro al mese, sulla soglia della povertà assoluta. In questa desolante fotografia, il prezzo più alto lo pagano le donne: lavorano meno (48,1% contro il 67,5 % degli uomini), e quando lavorano hanno più spesso contratti a termine (19,6% contro il 17,7% degli uomini), sono meno pagate e laddove c’è più part-time, c’è più occupazione femminile (19,1% di part time involontario contro il 6,5% degli uomini).

Focalizzando la nostra attenzione sul part time (Grafico 1), osserviamo che esso è sempre stato in continua crescita dal 2005 ad oggi.  I dati dell’Eurostat (Mappa 1 e 2; Grafico 2 e 3), evidenziano che l’Italia ricorre a tale forma contrattuale per il 18,5 %, una quota medio-alta rispetto agli altri paesi europei ma con un utilizzo assolutamente “distorto” dello stesso.  Paesi Bassi, Svizzera, Austria, Germania ricorrono maggiormente all’utilizzo del part-time, rispettivamente 46,6%, 38,2%, 28,2%, 26,9%, ma il part-time “involontario” incide in misura minima e comunque non più alta del 12,34% dell’Austria, evidenziando che il part-time resta una scelta del lavoratore in un mercato e una condizione socio-lavorativa tra le migliori d’Europa. Per l’Italia invece, insieme a Grecia, Cipro, Spagna, Bulgaria e Romania, in una condizione socio-lavorativa già altamente critica per questi paesi, 6 lavoratori su 10 sono costretti a lavorare part-time, sebbene siano disposte ad un impiego a tempo pieno.  L’ultima diffusione dei dati sul mercato del lavoro dell’Istat pubblicato il 13 marzo 2018 parla di un’occupazione totale di 23 milioni e 71 mila persone per cui i lavoratori in part time risultano essere 4 milioni 268mila 135 unità (18,5%) di cui quasi 2 milioni e 700 mila (62,5%) sono costretti ad accettare un part time in mancanza di occasioni migliori, costretti, nella maggioranza dei casi, a turnazioni e orari che non permettono di svolgere un’altra attività e sempre sotto ricatto del datore di lavoro per non essere licenziati. Che qualità del lavoro? Quali tutele? Lavoratrici e lavoratori stretti e stritolati tra l’inerzia di politiche attive ed occupazionali e la pressione di un mercato stagnante eppur spietato.

Mappa 1 e 2 -Fonte: Data base Eurostat- Indagine sulle forze di lavoro dell’UE.

Se la crescita dell’occupazione significa, in sostanza, lavorare più persone ed essere tutti poveri, far lievitare il numero di persone non disoccupate ma tenerle sulla soglia di povertà. Quali slogan, invocazione a strategie competitive, a cui appellarsi? Sono questi i lavoratori del futuro? Sono questi i lavoratori destinati alle sfide dell’Europa 4.0.  Che crescita lavorativa e professionale si vuole invocare? Siamo oltre l’emergenza.

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